Non avemmo altra scelta se non boicottare. COP26, ricordi dal futuro

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- Foto di Callum Shaw da Unsplash.com. -

Ricordo che non avemmo altra scelta.

Io avevo 8 anni e qualche mese nel novembre del 2021, quando nel Regno Unito si riunirono gran parte dei capi di Stato e di governo che allora ci rappresentavano.

Mia madre si occupava di tenere al corrente anche me su come procedevano i colloqui alla COP26 di Glasgow. Mi aiutava a decifrare il complicato mondo degli adulti.

Non capivo bene tutto quel che si diceva in televisione e quel che si scriveva sui quotidiani online, ma comprendevo benissimo che il pianeta in cui vivevo era inquinato e che io da grande rischiavo di vivere in un mondo stravolto da qualcosa a cui non avevo contribuito direttamente. A scuola questo ci veniva detto.

Mia madre mi fece capire che non era andata bene alla COP26 di Glasgow.

Già, Glasgow. Un luogo vicino e lontano per me che non avevo ancora viaggiato all’estero. Ad 8 anni mi era difficile comprendere quella distanza geografica che ci separava da un luogo dove si decideva il mio destino e dove i governanti decisero di rimandarlo.

13 novembre 2095

Quella sera, diffusasi la notizia del Glasgow Climate Pact firmato con compromessi al ribasso, la riflessione di mia madre fu semplice e lineare: “Se chi ci governa non prende decisioni risolutive per il nostro bene, allora ci dobbiamo pensare noi”.

Così da quel giorno, da quel 13 novembre 2021, decidemmo di boicottare le imprese che inquinavano. Non vi era altra strada se non il boicottaggio dal basso.

Questo mi disse e così facemmo. Iniziammo ad acquistare prodotti di aziende che realmente rispettavano l’ambiente, e soltanto quelli.

La spesa quotidiana divenne una ricerca costante. Prima di comprare ci informavamo di quelle imprese che dimostravano di produrre rispettando l’ambiente e acquistavamo solo da quelle.

Fu una scelta non priva di rinunce, ma l’alternativa era ben più disastrosa. Non agire, non usare l’arma del boicottaggio per lenire il cambiamento climatico, avrebbe condannato il mio futuro e quello della mia generazione che oggi, 13 novembre del 2095, ha 82 anni.

Così ci salvammo, agendo noi senza attendere che lo facessero quelli che ci governavano. Lo facemmo non nelle piazze, ma nei negozi e nei supermercati dove acquistavamo quel che ci serviva per mangiare, per vestirci, per comunicare, per lavorare.

Mia madre non era una attivista per il clima

Ricordo anche che mia madre ne parlò con altre sue amiche, anche loro avevano figli o figlie, e con alcuni di loro andavo a scuola insieme. Qualche anno dopo, compresi che né mia madre e neppure le sue amiche erano donne che si possono definire delle “attiviste per il clima”. Erano donne preoccupate per il futuro dei loro figli.

Nacque in quel periodo una sorta di movimento spontaneo, privo di un simbolo distintivo, che comprese l’esigenza di boicottare chi si ostinava a inquinare. Il movimento crebbe rapido, in poco tempo divenne travolgente.

Nella gente era maturata una nuova consapevolezza: bisognava agire e non restare inerti.

Si trattò di una scelta di difesa personale, come quando qualcuno attenta alla tua vita e tu ti difendi reagendo in modo commisurato. Noi facemmo la stessa cosa.

E le cose cambiarono, perché le imprese videro il loro fatturato calare e rischiarono la chiusura. Gli stessi operai e operaie di quelle aziende inquinanti costrinsero i manager delle imprese per cui lavoravano, a convertire i processi produttivi in nuovi processi rispettosi dell’ambiente. Ridussero gli scarti di lavorazione attuando un processo di recupero delle materie, ridussero il consumo di energia, si sforzarono di trovare soluzioni per approvvigionarsi da fonti di energia non fossili.

Boicottavamo cose semplici

Si boicottavano le cose semplici. Per la mia festa del nono compleanno, ad esempio, ricordo che comprammo soltanto bottiglie Coca-Cola in vetro e bandimmo dalla mia festa di compleanno la plastica.

Con mamma preparammo una lista di cose che sarebbero servite per la festa: posate, bicchieri, piatti, tovaglioli. Cercammo di sostituire i prodotti in plastica con altri realizzati con materiali biodegradabili o compostabili, oppure usando oggetti che si potevano riutilizzare.

Del resto, i bicchieri biodegradabili come anche i piatti compostabili, erano già disponibili allora. Si vendevano anche dei kit già pronti di stoviglie monouso biodegradabili da gettare nell’organico.

Quando si trattava di fare la spesa di detersivi e detergenti, invece, avevamo trovato un'azienda italiana che produceva questi prodotti partendo da materie di origine vegetale e che, terminata la loro funzione, non inquinavano i mari. Anche il processo di produzione era ad emissioni zero, poiché usavano energia proveniente da fonti rinnovabili.

Quanto i governanti non ebbero il coraggio di fare a Glasgow durante la COP26, lo facemmo noi tutti i giorni. Realizzamo la transizione ecologica attraverso il boicottaggio dei prodotti di aziende inquinanti.

Non avemmo altra scelta se non boicottare.



Foto Fabio Carbone: autore articolo
Fabio Carbone
Scrittore web tecnico ma versatile, scrive di criptovalute e blockchain per quotidiani online, siti di settore e aziende. Ha seguito un corso accademico sull'Industria 4.0 applicata al business; ha ottenuto 2 certificati blockchain professionali: BerkeleyX e The Linux Foundation.
Ghost writer e amante delle tartarughe d'acqua dolce, nel tempo libero cura il blog www.rugatartaruga.eu.
Per contatti professionali: LinkedIn.

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